BULIMIA

UN PESO SUL CUORE

 

“L’obesità è uno stato mentale, una malattia generata dal tedio e dalla delusione…l’unico modo per dimagrire è ridare uno scopo alla vita.” (Cyril Connolly)

Tedio e delusione, come insofferenza, malessere, amarezza. Tutti sentimenti o stati d’animo che richiamano l’avvilimento, la frustrazione, l’insoddisfazione. Chi di noi non ha mai cominciato una dieta? Chi, almeno una volta nella vita, non si è sentito inadeguato, pieno, poco in forma. E quando all’esterno c’è chi te lo fa pesare, chi lo rimarca, chi lo fa presente pur non avendo chiesto nessun parere, il disagio si amplifica. In una società come la nostra, dove l’ignoranza la fa da padrona e regna sovrana, c’è chi ancora li chiama grassi, ciccioni, chiattoni. Bene, il termine corretto è obeso, e l’obesità  si traduce in una patologia ormai diffusa di cui soffrono, solo in Italia, circa 6 milioni di persone.   In un gesto così semplice, quello di portare il cibo alla bocca, si nasconde uno tra i più grandi disagi dell’essere umano, l’incapacità di esprimere e gestire le proprie emozioni. E così le inglobano, le masticano e le  ingoiano senza mai riuscire a digerirle. Il buco, apparentemente, si riempie. Il dolore sembra sopirsi per un pò, per riemergere con maggior prepotenza attraverso i sensi di colpa. E’ come un circolo vizioso, una meccanica radicata, che ad ogni giorno si ripete. Tornare indietro sembra improbabile, quasi impossibile e, mentre i chili aumentano, l’autostima diminuisce. Non c’è droga più facile da reperire del cibo. La sensazione di appagamento non cambia, così come il senso di frustrazione e tristezza che si avverte poco dopo. Una feroce dipendenza di cui ancora troppo pochi conoscono l’esistenza, scambiandola ancora per mancata forza di volontà o poco carattere. Io a volte la definisco semplicemente fortuna. Si, fortuna di trovarsi in un contesto consapevole che sostenga quando la forza viene meno, insieme alla capacità personale di parlare e di saper chiedere aiuto. Essere obesi è doloroso. Non solo sotto il profilo fisico, l’incapacità a compiere certe azioni, le articolazioni indolenzite, il fiato corto, non sono nulla rispetto alla frustrazione, al disagio ed al malessere psicologico. Sentirsi gli occhi addosso della gente. Di quelli che provano pena, sdegno, a volte imbarazzo o che se ne prendono gioco, come fossero fenomeni da baraccone. La stessa gente che ripropone gli stessi sguardi per i disabili, per i malati, per i semplici. La stessa gente che si sente migliore solo perché il suo fondoschiena entra in una taglia 42. La stessa gente, si gente, non persone, che va in giro col ditino puntato, e con lo sguardo fiero solo perché indossano bene un vestito,  aride e vuote, non certo per il cibo. Sono loro, proprio loro. Figli fedeli delle mode e delle apparenze. Edonisti, vanesii, cultori, spesso senza cultura, ma solo del proprio corpo.

 

 

Senza alcun dubbio la perdita di umanità resta comunque la più grande disfatta dell’uomo.

Silvia, una delle mie più care amiche, combatte con l’obesità. Silvia non è il peso della sua bilancia. Silvia prima di tutto è una donna, che ha lasciato casa a 19 anni, imparando, anche se con fatica a provvedere a se stessa. Silvia è gentile, simpatica, colta, solare e molto molto sensibile. Non importa da dove provenga, né quali disagi l’abbiano condotta ad un eccessivo aumento di peso. Silvia è consapevole, Silvia ha scelto di migliorare soprattutto per la sua salute, e per questo è entrata in una comunità. Silvia ha scelto se stessa! Quanti in tutta sincerità possono dire lo stesso?

Ognuno di noi conosce una Silvia,  forse lo è stata o forse lo è ancora.

A te cara Silvia, va tutta la mia stima. Sei un esempio da seguire e una strada da percorrere. Non dimenticare mai chi sei e soprattutto che “sei” e che vali! Fa si che il tuo aspetto non rappresenti per te una crisalide, ma una farfalla che spiega le ali!

 

“Nessun peso è così grande da sopportare quanto quello della nostra coscienza.”

 

 

 

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